Tratto dal libro di Stella Borghesi:
I COLLANT DI MIO MARITO
Pubblicato da YOUCANPRINT
Nuova edizione rivista e aggiornata nel febbraio 2017
Disponibile anche in versione digitale su Streetlib
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Quello che gli psicologi ed i medici specialisti
chiamavano il disturbo della “disforia di genere” era una cosa che non mi
apparteneva.
Gli esperti usano sempre terminologie mediche complicate
anche per dire le cose più semplici, parlano di sindrome travestitistico di
tipo narcisistico, di autoginefilia, di femifilia, di travestitismo periodico,
parziale, costante, con caretteristiche feticistiche suddivise tra esterne ed
intime.
Ma che ne sapevano loro? Avevano mai provato a
travestirsi da donna? Sulla base di cosa formulavano le loro strampalate idee e
statistiche?
Solo una minima parte delle persone che si traveste
occasionalmente da donna come me sente la necessità o il bisogno di un supporto
psicologico e si rivolge a medici o psicologi specialisti.
La mia era solo una breve e avventurosa escursione nel
mondo delle donne, era solo un modo per
potermi avvicinare di più a loro, per sentirle più vicine, per comprenderle
meglio. Non era un bisogno compulsivo, non era una cosa da curare perché
semplicemente non era una malattia. Era solo l’unico modo che avevo a
disposizione per poter dare un’occhiata all’altra metà del cielo e per fare
questo era necessario dover infrangere delle regole e oltepassare quei limiti
che solo a pochi era concesso fare. Io mi sentivo una persona speciale perché
ero uno di quei pochi privilegiati a cui era stato concesso tutto ciò.
Ero libero di sentirmi dolce e desiderabile,
vulnerabile e indifeso come una donna e sapevo di provare delle emozioni così
intense e profonde da correre il rischio di sentirmi felice.
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